Il progetto definitivo è stato approvato: quello tra Scilla e Cariddi sarà il ponte a campata unica più lungo del mondo. Il suo completamento è previsto tra otto anni. Ma restano le critiche ambientali
È dalla notte dei tempi che il Ponte sullo Stretto di Messina divide, anziché unire. A collegare Sicilia e Calabria ci avevano già pensato Lucio Metello, nel 250 avanti Cristo (ma vi rinunciò perché non aveva navi abbastanza grandi per trasportare il legname necessario), Ferdinando II di Borbone (ma i costi erano stratosferici) e successivamente Vittorio Emanuele II.
E nel 1876 Giuseppe Zanardelli, convinto dell’opportunità di un’opera che collegasse le due coste, affermava: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente», facendosi portavoce di un’opinione corrente e di autorevoli studi. Da allora nella classifica delle grandi incompiute, quello sullo Stretto sta saldamente al primo posto.
Dalla nascita della Società Stretto di Messina, nata nel 1971 si sono spesi fiumi di denaro e montagne di progetti e documenti da riempire il Canale di Sicilia.
L’ultimo, datato 2003 (approvato dal Cipe, con successivi aggiornamenti), è frutto del lavoro a vario titolo di oltre 100 docenti appartenenti a 12 istituti scientifici e universitari nazionali ed esteri e di 39 società e studi specializzati internazionali.
Prevede un ponte sospeso con una campata centrale di 3.300 metri di lunghezza.
Il più lungo al mondo a campata unica. La gara d’appalto viene vinta dal contraente generale Eurolink, il gruppo di imprese presieduto dall’ex capo della polizia Gianni Di Gennaro, di cui fa parte tra gli altri Impregilo, leader mondiale dell’ingegneria civile.
L’archistar Daniel Libeskind ha progettato le principali strutture architettoniche correlate al Ponte sullo Stretto, come l’area del centro direzionale di Villa San Giovanni.
Da Berlusconi a Rutelli, da Prodi a Renzi, sono tanti quelli che volevano imprimere un sigillo al loro Governo con un faraonico ponte.
E non con un tunnel.
Fino a quando, nel 2011, in piena crisi dello spread, Mario Monti mise la ghigliottina e sciolse la società. Con la tempesta finanziaria e le fluttuazioni dello spread.
Ora il governo Meloni ha riavviato l’iter finalizzato alla realizzazione dell’opera.
E il ministro delle Infrastrutture Salvini, che da buon leghista non la voleva, oggi è entusiasta.
Il costo complessivo stimato è di 13 miliardi di euro, tra il Ponte in sé e le infrastrutture circostanti. In 8 anni dovrebbe generare 30 mila posti di lavoro, più 70 mila dell’indotto.
L’opera dovrà vedersela con i pericoli impersonati da Scilla e Cariddi, i mostri che infestavano la navigazione nel Canale: venti impetuosi, forti correnti e violentissimi terremoti (la zona è interessata da un complesso sistema di faglie che ha provocato sismi e tsunami terribili come quello del 1908, in cui morirono 80 mila persone).
Non parliamo poi del pericolo di infiltrazioni mafiose. Già la Dda aveva segnalato più volte il pericolo presso la commissione Trasporti del Parlamento, che ha avviato un’indagine.
A guadagnarci (paradossalmente in modo legale) rischiano di essere anche le cosche proprietarie – attraverso parenti e prestanome – di molti terreni che potrebbero essere espropriati e trasformati in discariche e in depositi di materiale inerte.
L’incognita è che cosa porterà il nuovo Ponte.
Maggiore flusso commerciale (ma c’è chi dice che a questo provvedono egregiamente le navi container), turismo, traffici?
Un’altra incognita è cosa farsene di un’opera simile se poi non esistono infrastrutture interne e collegamenti veloci basta sapere che per raggiungere Palermo da Messina occorrono due ore di treno e per Catania almeno tre. Insomma, la grande incognita è che il “Ponte dei Ponti” divenga la “cattedrale’’ nel deserto del Sud.