Non sei solo, mi prendo cura di te
Medicina, Legislazione, Etica del fine vita
Quando si parla delle situazioni di fine vita, la realtà non è mai bianca o nera, ma risulta graduata scala di grigi. L’esperienza sul campo aiuta a capire che ogni situazione dev’essere gestita in modo differente, in base alle competenze, la preparazione e la propria attitudine personale…
L’esperienza sul campo, nelle situazioni di fine vita, insegna che la realtà non è mai solo bianca o nera, ma una sfumata scala di grigi, dove non tutte le situazioni sono gestite allo stesso modo per compe- tenze, preparazione o attitudini personali e dove non tutte le azioni o omissioni sono eticamente neutre.
Il direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute della Diocesi di Aosta, don Isidoro Mercuri Giovinazzo, unitamente all’Associazione Italia- na di Pastorale Sanitaria e al Forum Sociosa- nitario nazionale, hanno proposto una confe- renza dal titolo: “Non sei solo, mi prendo cura di te”: medicina, legislazione ed etica del fine vita.” Poiché nelle Facoltà di Medicina non si insegnano agli studenti le terapie, le cure e lo stile di accompagnamento nei momenti finali della vita, la Medicina moderna, efficientista e meccanicistica, ha dovuto riapprendere l’arte del morire e del far vivere al meglio i morenti fino alla fine.
E’ bene segnalare che tra qualche anno partiranno in Italia le scuole di specializzazione in Cure Palliative. Pratiche distanasiche, di abbandono terapeutico o di desistenza terapeutica mettono in crisi quotidianamente le coscienze di molte persone. Come promuovere responsabilmente la tutela della vita e il bene comune? Contro una cultura dello scarto, di cui ci parla sovente il Santo Padre Francesco, desideriamo esprimere vicinanza ed inclusione verso tutti coloro che soffrono, lenendo il loro patire con una attenta presenza ed adeguati strumenti farmacologici, relazionali, spirituali.
Molto resta ancora da fare per garantire l’approccio di cura più proporzionato e rispettoso dei malati e delle loro famiglie daparte della Medicina Palliativa: occorre essere consapevoli delle molteplici attuali criticità culturali, socio-economiche e cliniche per elaborare strategie di assistenza che soddisfino i bisogni complessi delle fasi avanzate di tutte le patologie croniche e degenerative, quali quelle neurologiche, cardiovascolari o respiratorie e non soltanto quelle oncologiche, per le quali nell’ultimo decennio sono stati fatti passi da gigante per l’assistenza. E’ opportuna una riflessione sull’assetto legislativo, in tema di fine vita, nell’ordinamento giuridico italiano, con lettura bioetica degli aspetti più rilevanti delle leggi in esame.
Dopo aver ripercorso l’evoluzione del “diritto alle cure palliative” ci siamo soffermati sui principi enunciati dalla l. 38/10 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. In linea con il significato moderno di “salute”, nel modello assistenziale di medicina palliativa, il concetto di cura si estende non solo ai “sintomi” della patologia ma anche al disagio psichico, relazionale e spirituale della persona malata: impostazione, accolta, anche dalla l. 219/17 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che promuove la fondamentale relazione di cura tra medico e paziente e, nell’accogliere un’etica dell’accompagnamento, assicura dignità alla fase finale dell’esistenza.
All’indomani dell’inammissibilità del referendum pro-eutanasia, l’intervento ha voluto rilevare i profili di criticità derivanti dalla sentenza della Corte Cost. n. 242/19 (non punibilità a certe condizioni, dell’aiuto al suicidio, ex art. 580 c.p.) e dal Testo unificato al Senato “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”. L’idea di una morte anticipata e programmata, rispetto alla sua fine naturale, oltre a svilire i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico a tutela del “diritto alla vita”, rappresenta un rischio di disimpegno sociale, in termini di accoglienza e cura della persona malata, in particolare se fragile e in condizioni di solitudine esistenziale, la quale solo in contesti di relazioni umane ispirate alla solidarietà può esprimere la propria personalità anche nelle fasi più estreme della vita.
La Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia, ovvero il quesito che chiede di depenalizzare l’omicidio del consenziente in caso di suicidio assistito. I quindici giudici della Corte riuniti in Camera di Consiglio hanno discusso per tutto il giorno solo dell’ammissibilità del quesito sull’eutanasia, e non anche degli altri referendum. Non è stata una decisione basata su tecnicismi o formalismi giuridici ma su un valore ben preciso: il valore della vita, uno dei principi supremi sanciti dalla nostra Carta. In attesa del deposito della sentenza l’Ufficio comunicazione fa sapere infatti che la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Papa Francesco nell’udienza di mercoledì 9 febbraio u.s. aveva detto chiaramente che “la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”.
L’obiettivo era depenalizzare l’omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione da 6 a 15 anni. Dunque la Consulta accoglie le preoccupazioni dei cattolici e dei laici che nelle scorse settimane paventavano – a cominciare da papa Francesco – l’introduzione della “cultura dello scarto” anche a proposito delle persone. Ora, dopo aver appreso della bocciatura del referendum, i promotori del referendum gridano alla disobbedienza civile. Tra coloro che si proclamano “obiettori dell’eutanasia” molti sono gli stessi – sia detto per inciso – che condannano l’obiezione di coscienza quando a praticarla sono medici che si rifiutano di esercitare l’interruzione di gravidanza.