La Gestazione per altri (Gpa), più nota come maternità surrogata (o utero in affitto), in Italia diventa reato universale grazie ad un disegno di legge, approvato dal Senato e in precedenza dalla Camera. In Italia la Gpa è già un reato da vent’anni, in base alle legge 40, ora si estende la punibilità anche per chi l’ha praticata all’estero che rischia dunque pene fino a due anni reclusione e multe fino a un milione di euro.
Un solo articolo, che ha l’obiettivo di dare effettiva attuazione al divieto di surrogazione di maternità già previsto dalla legge 40: se i fatti “sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”.
La pratica della cosiddetta “maternità surrogata” era stata già fortemente stigmatizzata dalla Corte Costituzionale che nella sentenza n. 272 del 2017 ha affermato che essa “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.
Ora si tratta di capire se l’intervento normativo garantirà effettivamente il contenimento del
fenomeno crescente di italiani che si recano in paesi esteri dove la surrogazione è possibile.
Fenomeno che contribuisce ad una sorta di legittimazione sociale che due esseri umani decidano di rivolgersi ad una donna affinché questa porti a compimento una gravidanza con l’impianto di un embrione fecondato anche solo in parte dai gameti dei committenti e al termine della gravidanza consegni l’essere umano nato alla coppia.
Così trasformando la nascita del bambino in un fatto privato, contrattuale, sradicandolo dalla sua connaturata dimensione sociale che – in quanto nascita di una vita umana – interessa l’intera collettività dei consociati.
La contrattualizzazione della gravidanza – quasi sempre motivata dalle condizioni di drammatica indigenza della donna gestante – contrasta con la conquista delle grandi democrazie occidentali che hanno unificato i diritti degli esseri umani, proprio a cominciare dalla loro nascita, attraverso il concetto di “Status”, espressione questa che rappresenta la dimensione non negoziabile della persona: è il rapporto tra se stessi e la comunità nella quale si vive. I diritti inviolabili di un soggetto che sta per venire al mondo sono presidiati dalla comunità e non dall’arbitrio individuale.
Ad oggi le comunità umane organizzate hanno stabilito che chi nasce è figlio della donna che l’ha partorito e che in caso di abbandono si proceda ad un’attribuzione pubblicistica (non privatistica) delle genitorialità giuridica del bambino ad una coppia che abbia i requisiti di idoneità stabiliti da una procedura legale di adozione. Procedura nella quale si vaglia analiticamente l’attitudine della coppia a vivere con un bambino, formarlo, aiutarlo a crescere: è esattamente questa la tutela che l’ordinamento appresta al diritto inviolabile del bambino.
Tutto ciò salta drammaticamente nella surrogazione di maternità, perché ad una procedura pubblica di verifica della idoneità genitoriale si sostituisce una convenzione privata arbitraria che può essere disciplinata a piacimento dei committenti.
Muore così il diritto inviolabile del soggetto nato. Gli atti di volontà non consentono di determinare i diritti degli altri in quanto si tornerebbe drammaticamente agli anni più bui dell’umanità.
È importante la stesura di una convenzione internazionale che riconosca e affermi l’universalità
del reato di maternità surrogata.
La nuova norma italiana – pur rischiando di rappresentare soltanto un passo simbolico se poi non riuscisse a sradicare il fenomeno del turismo procreativo della surrogazione – si instrada nell’orizzonte della meritoria e urgente prospettiva di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei parlamenti sovrani verso un fenomeno, che ripetendo ancora una volta le esatte parole della Corte costituzionale italiana “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane.
Orazio D’Antoni