Editoriale di “Traguardi Sociali” (n. 86 – nov/dic 2017) del presidente nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli
Lungo la sua storia il processo di unificazione dell’Europa ha preso anche strade sbagliate, ma ha avuto pure le occasioni per fare ammenda e rimettersi sulla giusta strada. In modo particolare ciò è accaduto dopo il disfacimento dell’impero comunista nell’Est europeo. Eravamo agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. Qualunque fosse stata la strada di unificazione percorsa fino allora dai Paesi europei, qualunque fossero stati i passi giusti e quelli sbagliati, in quel momento c’erano tutte le condizioni per una radicale registrazione della rotta. Quell’occasione storica, però, è andata perduta. L’Europa poteva cominciare a respirare a due polmoni, dall’Est potevano arrivare alle stanche società del benessere occidentali stimoli umani e spirituali. Papa Giovanni Paolo II si è dedicato all’Europa come ad uno dei temi principali del suo pontificato e instancabilmente, a cominciare dall’Enciclica Centesimus annus e dal Sinodo sull’Europa, ha lavorato per risvegliare nel Continente la piena consapevolezza delle proprie ragioni d’essere, giungendo anche a chiedere espressamente che il riferimento a Dio fosse inserito nella Costituzione europea, documento con cui agli inizi degli anni Novanta si voleva, giustamente nelle aspirazioni ma inadeguatamente nei metodi adoperati, ridisegnare i fondamenti del processo di unificazione. In realtà nulla cambiò e si procedette con un allargamento della cooptazione di nuovi Paesi dentro un concerto dalle deboli convinzioni morali e religiose. Si stipulò il Trattato di Maastricht (1972) e si scelse di dare vita all’Unione Europea, ma le sue basi dottrinali, valoriali e religiose erano troppo fragili quando non asservite ad una ideologia occidentalista più che ad un Occidente che trova le sue radici nel cristianesimo. Prevalse l’Europa dei Lumi, prevalse la “ragione strumentale”, prevalse il convenzionalismo dei diritti umani, prevalse l’accentramento e la normalizzazione dall’alto, anziché la sapienza politica della costruzione articolata e sussidiaria dal basso. E questo è continuato anche in seguito, anche con l’ingresso dei nuovi Paesi dell’Europa orientale, creando oggi una nuova frattura all’interno dell’Unione.
Questa Unione Europea è più caratterizzata dalla prevalenza dell’ideologia dei Lumi, dal predominio della nomenklatura intellettuale e politica secondo l’ideologia del “manifesto di Ventotene” che non dal “popolarismo” di De Gasperi, Adenauer e Schuman. E questo è un problema con cui dovremo fare i conti. L’Europa non può sottrarsi ad un avvicinamento ai valori umani universali, l’alternativa è una società edonista, individualista, tecnicista ed economicista, nella quale prevale il più forte. Un’Europa senz’anima e senza motivazioni ideali destinata a non avere futuro.
Queste idee sosterremo con forza anche nella prossima campagna elettorale perché l’Italia e l’Europa hanno bisogno di un nuovo popolarismo: fondato su una chiara visione antropologica e sociale, radicato nelle esperienze di civismo diffuso e nella sussidiarietà capillarmente applicata. Un’area politica che si richiami al popolarismo italiano ed europeo, e che riscopra il fondamento culturale delle sue origini.
Papa Francesco nell’incontro con il COMECE, il 28 ottobre scorso, ha affermato che “da più parti si ha la sensazione che il bene comune non sia più l’obiettivo primario perseguito e tale disinteresse è percepito da molti cittadini. Trovano così terreno fertile in molti Paesi le formazioni estremiste e populiste che fanno della protesta il cuore del loro messaggio politico, senza tuttavia offrire l’alternativa di un costruttivo progetto politico”. Ovunque, è proprio il popolarismo l’unico argine a questi estremismi e populismi.
Il Papa ha lanciato anche un appello al mondo cattolico “i cristiani sono chiamati a ridare dignità alla politica”: un appello che non possiamo lasciar cadere nel vuoto e che ci richiama alla nostra responsabilità di laici cattolici impegnati nella società.
Non credo che in questo momento non ci siano le condizioni per pensare ad un progetto politico alternativo, Don Sturzo lo ha elaborato in un contesto altrettanto difficile, ma è necessaria la creazione di una nuova cultura sociale e politica.
Noi vogliamo essere propugnatori di una forte iniziativa: solo così sarà possibile dare risposte a chi è rassegnato al declino o vede nel populismo l’unica soluzione.